CORPO e EMOZIONI: IL CIRCUITO DELLA SOFFERENZA
Quando ho piantato il mio dolore nel campo della pazienza, mi ha dato il frutto della felicità.
K.Gibran
Come il cervello percepisce la sofferenza
Fa parte dell’esperienza umana aver contattato, in un modo o in un altro, momenti di dolore. Può trattarsi di una sensazione fisica quando è il corpo ad essere coinvolto, o di un ‘male’ che nasce da dentro quando la ‘ferita’ è invisibile e ‘spezza il cuore’. Sorge da situazioni personali o da accadimenti che coinvolgono più persone, nuclei familiari, gruppi o categorie sociali, fino a riguardare l’umanità intera, così come è successo in maniera senza precedenti quest’anno: il mondo coinvolto in un’esperienza di emergenza tanto nuova, quanto sconvolgente che ha sicuramente provocato reazioni molto diverse. E’ stato contattato tanto dolore fisico da tutti coloro che sono stati colpiti dal virus ed enorme sofferenza emotiva da chi si è ammalato, da chi ha perso persone care, da chi ha operato sul campo spendendosi senza sconto tutto il tempo e da chi ha visto stravolgere la propria vita dagli effetti devastanti del lock down.
Sul piano della risposta biochimica, sofferenza emotiva e dolore fisico producono effetti simili, entrambi mediati dagli stessi circuiti neuronali e neurochimici. Forse è per questo che sovente, per descrivere i due stati di dolore si usa lo stesso lessico: ci sono, quindi, situazioni che fanno ‘gelare il sangue dalla paura’; altre che suonano come ‘un pugno nello stomaco’…
La sofferenza come esperienza antica
Da sempre il dolore fisico ci protegge dal danneggiare inconsapevolmente il corpo. Con l’evoluzione dell’uomo, si sono evoluti anche i segnali fisici di dolore. Tutto ciò come conseguenza dell’aumentare progressivo delle interazioni sociali che ci hanno fatto comprendere che, in quanto animali sociali, i rapporti con gli altri producono gioia o sofferenza. Per caratteristica filogenetica abbiamo la necessità di mantenere stabili e significativi scambi relazionali nella società di cui siamo parte; si tratta di un bisogno ancestrale che ha radici molto lontane, in tempi in cui i nostri antenati sopravvivevano solo se appartenevano e vivevano in gruppo. La sofferenza dell’uomo evoluto è volto a proteggerlo dal peggiore dei pericoli: quello di perdere l’appartenenza alla propria rete sociale.
Il dolore fisico, quindi, ha la funzione di proteggere il corpo dirigendo l’attenzione sulla ferita o sulla zona ammalata. Allo stesso modo la sofferenza emotiva consente di focalizzare l’attenzione sull’esperienza che lo causa, considerata dal sistema corpo-mente minacciosa per la nostra sopravvivenza.
Il circuito neurochimico del dolore fisico e della sofferenza emotiva
Le endorfine sono dei neurotrasmettitori prodotti dal cervello, precisamente dal lobo inferiore dell’ipofisi. Vengono definite oppioidi endogeni e svolgono il ruolo fondamentale di moderatrici del dolore in ogni sua accezione. Esperimenti effettuati somministrando dosi bassissime di morfina, insufficienti ad alterare le risposte comportamentali dei soggetti, un oppioide prototipico che interagisce con i recettori μ – oppioidi, ovvero le endorfine, hanno evidenziato una risposta lenitiva sia sul dolore fisico che emotivo.
Altri studi hanno dimostrato che relazioni sociali problematiche influiscono sui livelli di endorfine dei soggetti coinvolti; una separazione, per esempio, causa una riduzione dei recettori μ – oppioidi aumentando così la percezione del dolore. Al contrario, il contatto fisico, i baci, gli abbracci creano un incremento endorfinico immediato nel corpo. Si spiega così l’antica pratica del ‘chiodo scaccia chiodo’, ossia la frequente tendenza di ricercare, subito dopo un distacco, la prossimità con altri esseri, con lo scopo di riempire un vuoto doloroso e così, inconsapevolmente, ripristinare l’equilibrio chimico nel corpo.
La chiave di lettura della sofferenza
Quella fin qui descritta è una esplorazione analitica dell’esperienza ‘dolore’, che parte dalla conoscenza biologica dell’esperienza stessa. La visione olistica della sofferenza tiene conto della ‘meccanica chimica’ inserendola nella lettura più vasta della psicosomatica, grazie alla quale è possibile leggere tra le righe del dolore fisico ed emotivo. Veri e propri messaggi, campanelli d’allarme, a volte chiari, altri più velati, che giungono direttamente dalla nostra parte più profonda che fatica a trovare spazio di espressione autentica.
La comprensione del meccanismo del dolore apre, quindi, ad un’altra domanda: qual è il senso della sofferenza?
Un guerriero accetta la sconfitta. Non la tratta con indifferenza, non tenta di trasformarla in vittoria. Egli è amareggiato dal dolore della perdita, soffre all’indifferenza. Dopo aver passato tutto ciò, si lecca le ferite e ricomincia tutto di nuovo. Un guerriero sa che la guerra è fatta di molte battaglie: egli va avanti.
P.Coelho
Le ricerche citate in questo articolo sono tracciabili al link http://scitechconnect.elsevier.com/brain-feels-heartbreak/